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George Best è stato il più grande talento che abbia mai calcato un campo di calcio. Chiunque lo abbia visto giocare non ha il minimo dubbio, gli altri sono stati sfortunati. Io sono molto invidioso di non averlo potuto godere. Con lui è nato il mito della maglia numero 7, associata per sempre all’ala dribblomane, sgusciante, velocissima e dalla tecnica sopraffina.
A Manchester sponda United ha inaugurato – con la vittoria della Coppa dei Campioni del 1967-68 – la dinastia dei grandi numeri 7 che vede, seppur in ruoli diversi fra loro, George Best (1963-1973), Bryan Robson (1981-1994), Éric Cantona (1992-1997), David Backham (1997-2003), Cristiano Ronaldo (2003-2009) e… basta. Gli altri non si sono rilevati all’altezza.

If I’d been born ugly, you’d never have heard of Pelé

Best è stato il primo calciatore copertina, aveva talento, era bello, intelligente e con la faccia perbene. Dopo il suo esordio all’Old Trafford e soprattutto dopo la vittoria della Coppa dei Campioni tutto quello che toccava diventava oro. Il problema di fondo però è stato proprio quello, la vittoria della Coppa dei Campioni.
Lui era solo 21enne e davanti a se vedeva una cariera luminosissima con il suo amatissimo Manchester United a dominare il mondo. Ma uno stanco e appagato Matt Busby – per il quale era diventata un’ossessione dopo la tragedia di Monaco – non ebbe la forza di rifondare una squadra tagliando diversi senatori che avevano il suo stesso stato d’animo. Negli anni successivi non solo non riuscirono a ripetersi ma andarono verso una lenta decadenza culminata con la retrocessione del 1973-74, grazie a continue scelte sbagliate e all’ombra di Busby sugli allenatori che lo succedettero.

George è frustrato perché la squadra non è al suo livello, la fama lo stritola e addirittura arriva ad annunciare il ritiro (poi revocato poco dopo) nel 1971 a soli 26 anni. Fa capolino la depressione. Non riesce a staccarsi dal suo unico grande amore e inizia la sua fase di autodistruzione fra booze, birds, and fast cars per il quale è diventato famoso al pari del suo talento calcistico e che era un chiaro grido d’aiuto.

Peccato, davvero. Se fosse stato aiutato nel modo giusto non avremmo veramente mai sentito parlare di Pelé. Addirittura se fosse nato qualche chilometro più in là, in Inghilterra, la Coppa Rimet adesso sarebbe a Londra nella sede della Football Association

I numeri di Georgie

Ma George non ha giocato solo con la numero 7 sulla schiena. Come abbiamo spiegato ampiamente qualche mese fa, all’epoca in Europa i numeri erano perlopiù associati alla posizione in campo e Best di posizioni ne girava parecchie: poteva giocare sia a destra che a sinistra e sia da ala che da interno. Praticamente a Manchester ha indossato tutti i numeri dal 7 all’11 e qualcuno addirittura sostiene di aver visto una foto con la maglia numero 5.

George (10), Bobby (9) & Ian (11)

Questo il resoconto di transfermarkt.it sui numeri indossati da Georgie nelle sue undici stagioni allo United.

1963-64: 7, 11
1964-65: 10, 11
1965-66: 7, 8, 10, 11
1966-67: 7, 11
1967-68: 7, 10, 11
1968-69: 7, 8, 11
1969-70: 7, 8, 10, 11
1970-71: 7, 8, 11
1971-72: 7, 8, 10, 11
1972-73: 7, 10
1973-74: 11

Anche in nazionale le statistiche riportano gli stessi numeri utilizzati con – più o meno – la stessa frequenza:

George wore four different shirt numbers in his 37 international appearances for Northern Ireland. Number 7 (12 times), Number 8 (3 times), Number 10 (twice), Number 11 (20 times).

Tanto non lo prendi mai

Il dopo Manchester e la teoria dell’11

Come dicevamo George non sta bene e nella stagione 1973-74 decide nuovamente di abbandonare il calcio, ma viene persuaso poco dopo a riprovarci. Il suo grande amore però lo abbandona veramente, l’ultima partita con lo United è datata 1 gennaio 1974.

Inizia il suo pellegrinaggio: poche partite fra Jewish Guild, Dunstable Town, Stockport County (serie minori inglesi) e Cork Celtic (Irlanda) per poi fare la spola fra la NASL e il Regno Unito fra il 1976 e il 1982. Los Angeles Aztecs, Fulham, ancora Los Angeles Aztecs, Fort Lauderdale Strikers, Hibernian e San Jose Earthquakes. Per poi chiudere nei due anni successivi con varie comparsate nelle squadre più disparate o per partite amichevoli e/o promozionali.

Negli Stati Uniti – come abbiamo spiegato tempo fa – è già in vigore la numerazione personalizzata e Best opta quasi sempre per il – a mio modo di vedere – suo numero 11, come riscontriamo in California. Mentre in Florida sceglie un insolito, ma divenuto subito iconico, numero 3.

È vero, due indizi non fanno una prova, ma potendo scegliere il numero preferito da portarsi dietro tutta la stagione e con la notorietà e il carisma che aveva Best… beh, qualche sospetto che la mia teoria non sia campata in aria viene.

A questo va sommato che anche nelle partite amichevoli o nelle altre piccole squadre dove ha giocato spesso vestiva la numero 11.

The Best 11 ever

Alla fine rimango convinto che il numero di George Best fosse l’11. Lo ha scelto quando ha potuto e in campo amava partire da sinistra per tagliare verso la porta saltando l’uomo e, possibilmente, anche il portiere. Il fatto che sia ricordato e associato alla numero 7 è soltanto perché durante il periodo on fire dei suoi esordi e soprattutto durante la grandi partite in Coppa dei Campioni vestiva quella maglia. Ma va bene così, il suo mito va oltre un numero di maglia o qualche pinta di birra di troppo.

Best rimane il migliore e non sento discussioni in merito.

Forse il ragazzo che lo ha visto con la numero 5 si è confuso con questa…

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