L’ultima settimana ci porta in dote tre news relative alla Serie A che certificano come la gestione del principale campionato italiano non sia proprio impeccabile.
Cominciamo con il nuovo pallone ufficiale, il Nike Flight 21/22, “frutto di anni di ricerche del Nike Equipment Innovation Lab” condotte fino ad oggi evidentemente a luci spente. Una grafica “audace” per “un look stupefacente” ispirato alla posta aerea (non ce lo stiamo inventando, hanno detto davvero così). Per avere semplicemente un pallone da calcio a chi ci si deve rivolgere? Capisco la necessità di doversi inventare sempre qualcosa di nuovo, meglio se chiassosamente distante da ciò che l’ha preceduto perché “quelli del marketing dicono che si deve far così”, ma non è frustrante dover lavorare in questo modo?
In secundis: il restyling del logo. Se dopo appena un anno ti trovi nella condizione di dover procedere ad un’operazione del genere, forse, dico forse, c’era qualche problema fin dall’inizio. Dato che molteplici perplessità furono avanzate fin da subito, non dall’uomo della strada ma da professionisti e cultori della materia, viene da chiedersi come mai qualche domanda non se la siano posta anche coloro che hanno realizzato il progetto. O almeno coloro che lo hanno approvato, immaginiamo fra più opzioni possibili.
Terzo indizio: il calendario “asimmetrico” nel girone di ritorno. Ovviamente una proposta avanzata nell’ottica di “una migliore distribuzione delle gare”, ma si sa che di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’Inferno. Il motivo reale, chiaro come il Sole, ha più a che fare con le esigenze di cassa dei signori che vi propongono lo “spettacolo” su schermi di ogni misura e foggia.
Cosa proverebbero questi tre indizi? Semplicemente che la Serie A è gestita senza un briciolo di visione a medio/lungo termine, lasciando intendere che le scelte a tutti i livelli siano improntate alla filosofia del “tiriamo a campare” un altro anno e poi si vedrà. Sembra manchi anche la consapevolezza del valore storico e culturale di un campionato che, almeno un tempo, era considerato fra i più prestigiosi al mondo: un patrimonio convertibile in immagine e da lì nei denari contanti tanto cari ai padroni del vapore. Ma questo richiederebbe un progetto di fondo, investimenti, un briciolo di pazienza e tanto amore per quel che si fa, elementi estranei al capitalismo italiano più o meno dai tempi del compianto Ingegner Adriano Olivetti.
Poi ci chiedete perché raccontiamo vicende legate al passato del pallone. Perché c’era ancora una parvenza di anima in quel “gioco spettacolare” che non era ancora diventato “spettacolo industriale”.




