Vivendo a Firenze conoscevo di rimbalzo, non avendo mai avuto un contatto diretto con loro, la realtà del Centro Storico Lebowski. Sono sempre stato affascinato da alcune loro particolarità, soprattutto dagli inusuali colori sociali – nota caratteristica per la quale tendo a innamorarmi di squadre sparse per il globo come l’F.C. St. Pauli o il Corinthian-Casuals F.C. per citarne un paio – e quindi ho deciso di contattare uno dei membri fondatori della società, nello specifico Tommaso Staccioli, per farmi raccontare qualcosa di più. E di più è stato, molto di più.
Per spiegare cosa sia il Centro Storico Lebowski val la pena descrivere cosa ci ha allontanato dallo scintillante calcio della Serie A. Ci eravamo stancati di campionati senza sorprese, di classifiche disegnate dai diritti tv e dagli intrighi di palazzo, di partite ogni tre giorni, sempre più frenetiche e meno spettacolari, di un calcio senza attese e pause, che non riesce più ad aspettare la domenica, di un asservimento alle leggi del mercato che trasforma il gioco in merce, dell’azione dello Stato con i suoi decreti speciali a tutela del business.
Il CSL penso sia un unicum nel panorama italiano. La vostra storia inizia 10 anni fa con idee ben precise e strutturate, con il coinvolgimento attivo della comunità e un seguito che si è fatto via via sempre più importante. La maggior parte dei progetti, specie quando coinvolgono tante persone, iniziano con entusiasmo ma con il tempo finiscono per perdersi un po’ per strada o snaturarsi. Voi invece siete riusciti a dare continuità al CSL e a farlo costantemente in “crescendo”: quali sono gli elementi di forza su cui avete costruito questa realtà? Avrete affrontato anche dei momenti negativi: qual è stato il peggiore e come l’avete superato?
Bella domanda, non credo di poterti dare una ricetta certa. Abbiamo avuto la fortuna, lungo il nostro percorso, di riuscire a mischiare idee apparentemente assurde con una forte dose di incoscienza. L’aspetto sportivo ha sicuramente contato molto. Una squadra che emoziona è di forte traino per i “vecchi” come per i “nuovi” tifosi. Essere arrivati in categorie importanti ci ha fatto guadagnare anche la stima di chi, inizialmente, ci guardava con un certo riserbo. Non ti nego che ci vuole anche un po’ di fortuna. Penso che abbiamo avuto le cosidette “persone giuste al momento giusto”, chi dentro dal primo minuto, chi conosciuto in corsa. Non voglio fare nomi, ma senza di queste persone non so se saremo arrivati in soli 10 anni a questo punto. È stato importante anche riuscire a creare una bella rete di rapporti personali e con il territorio. Oggi riusciamo a mobilitare anche più di cento persone volontarie per stare dietro ad un evento, ognuna con una motivazione diversa e personale. Forse la cosa bella del Lebowski è questa, che nonostante una storia chiara, una identità forte e alcuni dogmi netti riesce comunque a lasciare spazio per la propria individualità all’interno di una comunità.
Ti senti libero ma allo stesso tempo non solo.
I risultati vi danno ragione: tre promozioni, campionati sempre di alta classifica, azionariato popolare che funziona e una famiglia allargata consolidata. Ma quello che colpisce di più l’utente esterno è l’immagine ben curata e molto originale. Come è nata, o come si è arrivati all’identità della squadra? Cosa rappresentano e come sono stati scelti il nome, il logo e i colori sociali?
Per questo dobbiamo fare un grosso passo indietro, sintetizzare la storia è davvero difficile. Il Centro Storico Lebowski nasce per volontà della sua Curva e dei suoi Ultras dopo una scissione dall’A.C. Lebowski.
L’A.C. Lebowski nasce come squadra di calcio a 7 per un torneo amatoriale fiorentino; i ragazzi scelsero quel nome perché più di tutto rappresentava il loro modo di essere, il loro modo di intendere la vita. Il grigio nero fu una scelta ancora piu ovvia. Presero un catalogo e scelsero il kit che costava meno, di getto. Furono quei ragazzi che, un pomeriggio del 2004, si videro arrivare un manipolo di sedicenni che aveva letto delle loro “non” gesta sui quotidiani locali, decidendo senza alcuna logica di diventarne tifosi. Quei sedicenni eravamo noi, i Drugati ci chiamammo, e andare a vedere il Lebowski ogni sabato pomeriggio diventò per qualcuno un modo per sbronzarsi ancor prima del previsto, per altri un’alternativa libera e senza filtri al tifo ultras dei grandi stadi di Serie A, sempre più controllati e sempre meno liberi. Motivazioni diverse ma stesso amore per quel momento della settimana. Dopo anni di sbronze e sconfitte – non vincevamo mai – eravamo sempre più numerosi e sempre più volenterosi, fino a quando nel 2010, decidemmo che volevamo di più. Partendo dalla Curva, volevamo scendere in campo e dietro la scrivania, sedere in panchina e lavare le maglie. Fondare la nostra squadra, la squadra dei tifosi, un qualcosa che avrebbe potuto incidere, stravolgere, lasciare un segno alle nostre condizioni.
Con questi pretesti nacque il Centro Storico Lebowski, dentro una fumosa stanza di un locale alle pendici del Duomo. Quei giornali locali e quegli addetti ai lavori che negli anni ci avevano visto occupare i peggiori spalti di periferia come fossero il Bernabeu, pensarono che non saremmo neanche riusciti a iscrivere la squadra. Poi dissero che non avremmo mai vinto un campionato, e quando portammo a casa la prima promozione, che non saremmo mai andati più in alto di là. Lo abbiamo fatto, a modo nostro.

Qual’è il nostro calcio? Intanto un calcio dove tra squadra, tifosi e società ci sia identità. Il CSL è prima di tutto degli Ultimi Rimasti, che sono il cuore di tutto ciò che facciamo; è di chi taglia l’erba del campo prima delle partite, di chi organizza le feste per portare i soldi per iscriversi al campionato, di chi fa le collette per autofinanziare il materiale sportivo, di chi pulisce la sede, di chi raccoglie i palloni dopo l’allenamento, di chi porta con passione e rispetto i suoi colori in campo.
C’erano alternative, in sede di costituzione, che poi sono state scartate? Sia in termini di denominazione che di accostamento cromatico?
Nome e colori, come ti dicevo, non sono mai stati messi in discussione. Mi ricordo che litigammo molto per scegliere le denominazioni da accostare a Lebowski. Vinse Centro Storico, un po’ per il luogo in cui fondammo effettivamente il Club – perché anni prima fu il luogo dove venne fondata la Curva Moana Pozzi –, un po’ perché ci accomunava tutti, molto perché eravamo una Società senza fissa dimora, che non si rispecchiava in un quartiere specifico. Col tempo il Centro Storico è uscito dai comuni, dai confini, dalle regioni: adesso abbiamo soci e socie in ogni parte del mondo. Questo ci riempe di orgoglio e di gioia, perché anche se è ovviamente inaspettato avere soci in Germania, Nuova Zelanda, Stati Uniti o che ci siano pazzi che da Roma, Livorno, Bologna e Venezia raggiungono Tavarnuzze (in provincia di Firenze n.d.r.) per una partita di Promozione, la verità è che la gente è ancora disposta a credere e lottare per riprendere i propri spazi laddove gli lasci la possibilità di sentirsi parte attiva del progetto.
Per quanto riguarda la scelta delle mute gara, come portate avanti i progetti? Decisione collegiale, sviluppo da parte di un team o di una singola persona? Sbirciando su Facebook ho notato anche un sondaggio per la stagione 2016-17, prassi o evento particolare?
Ogni muta ha avuto una storia a sé. Il fatto di non avere una storia centenaria pregressa ci ha sempre permesso di dare libero sfogo alla nostra fantasia e soddisfare i nostri piccoli sogni.
La prima maglia del C.S. Lebowski ad esempio fu scelta solo ed esclusivamente perché era simile a quella iconica del Celtic. La scelta della maglia da gioco è una cosa che appassiona molti, per questo abbiamo creato alcune occasioni in cui potessimo sceglierla tutti/e insieme. È grazie ad una di queste votazioni che abbiamo avuto per molti anni la seconda maglia di colore rosso.
Per quanto riguarda la maglia di oggi chiedemmo ai soci, dopo anni di righe verticali, orizzontali, tinte unite, cosa li rappresentasse di più. Fu deciso che la prima maglia del C.S. Lebowski doveva essere a righe verticali.
Maglie celebrative (tipo quella che ricorda il gemellaggio con il Coloniacs) o comunque particolari (maglia della femminile pane, rose e pallone): come sono nate e, se ci sono, quali altri progetti analoghi avete in cantiere?
La maglia Pane e Rose ha un forte messaggio politico, di abbattimento delle barriere di genere in ogni ambito. Più che una maglia celebrativa la consideriamo un piccolo manifesto di un obiettivo comune che vada oltre il campo da gioco. Per questo le ragazze giocano con quella invece che con la maglia a righe grigio e nere. Le maglie celebrative per il gemellaggio con i Coloniacs di Colonia e con gli Hamas di Castellammare furono idee che ci vennero in maniera abbastanza naturale; oltre ad essere una dimostrazione di folle affetto verso i nostri amici fanno anche capire l’importanza che la curva, gli ultras e tutti i tifosi hanno in questo progetto. IL C.S. Lebowski è i suoi tifosi e le sue tifose, senza tifo non esisterebbe il Club.
Se la maglia della Juve Stabia è molto iconica, l’F.C. Koln cambia spesso il proprio stile. Insieme a Daniele abbiamo cercato qualcosa di particolare finchè lui non trovò una maglia che celebrava il loro Carnevale, l’abbiamo solo riadattata al nostro stile. Quest’anno abbiamo inaugurato una seconda maglia che ci avrebbe dovuto accompagnare verso la festa per i 10 anni dalla fondazione. È una maglia che cerca di racchiudere tutte quelle che l’hanno preceduta. Linee orizzontali che riprendono le verticali per la forma, richiami color giallo, i due grigi che abbiamo utilizzato in questi anni… c’è un po’ tutto.
Vedo che collaborate con Errea per la fornitura tecnica. Mentre in passato avete vestito divise no-logo. Come sono gestiti i rapporti e che differenze avete riscontrato nelle due esperienze?
Difficoltà e soddisfazioni da ricordare? Quanto conta per voi la possibilità di personalizzare la maglia? Al di là della scelta obbligata del template ovviamente di catalogo.
Come puoi immaginare non abbiamo rapporti diretti con Errea, però ci fu consigliata il primo anno per la qualità dei loro prodotti; ci siamo trovati molto bene e negli anni abbiamo cercato di continuare ad utilizzare i loro articoli.
Per le maglie da gioco iniziammo a usare articoli personalizzati utilizzando prodotti LDS, fino a che non abbiamo iniziato a collaborare con gli amici di Officine Sportive di Prato che ci hanno permesso di metterci in contatto con l’ufficio personalizzazioni di Errea. Ogni tanto è vero, ci sono state qualche difficoltà comunicative, siamo molto esigenti soprattutto sui colori che devono esattamente essere i nostri, quelli che ci appartengono. Sul disegno entro un po’ sul personale, le ultime maglie che abbiamo fatto con Errea le ho disegnate e ti posso assicurare che non seguiamo template loro, ma creiamo tutto da zero. Se la linee rimangono pulite e classiche è perché una divisa con troppi disegni non è nel nostro stile; penso che per rappresentare la nostra identità, il nostro club, le sue centinaia di sfaccettature, sia meglio una maglia pulita, chiara, che possa parlare di tutti e tutte. Cercavamo soprattutto di creare qualcosa che ci rappresentasse in maniera univoca. Il piccolo sogno è, col tempo, di riuscire a vestire anche tutte le squadre della scuola calcio con la stessa maglia. Discorso diverso per la maglia delle ragazze. Come ti spiegavo il messaggio lì è diverso, specifico, ci siamo permessi un po’ più di vezzi. È stata realizzata grazie alla collaborazione con Rage Sport, che ci ha accompagnato nella progettazione e si è occupato personalmente della produzione, ci siamo trovati benissimo.
Se vedi viola pensi alla Fiorentina, rosa al Palermo, giallo al Borussia Dortmund, se vedi una maglia a righe grigio e nere devi pensare al Lebowski.
Avete aneddoti particolari da raccontarci? Progetti sportivi rimasti nel cassetto, in divenire, oppure opportunità che inaspettatamente avete avuto la possibilità di cogliere?
Per qualche aneddoto sulla nostra storia ti rimando alla pagina Facebook, durante il lockdown abbiamo scavato nella memoria e messo nero su bianco alcuni dei momenti più “particolari” di questi dieci anni. Per quanto riguarda gli ultimi progetti avviati, abbiamo inaugurato lo scorso anno una squadra di Calcio a 5 che sta partecipando al Campionato Figc di Serie D. Esattamente come per la squadra femminile siamo stati cercati da un gruppo di ragazzi che volevano portare il calcetto all’interno della nostra famiglia. Se il femminile era una esigenza della quale parlavamo già da qualche tempo, mai avrei pensato che si saremo buttati nel futsal, tuttavia l’esperienza è stata molto positiva, i ragazzi sono stati accolti alla grande dalla famiglia grigionera e in generale si è riproposto il meccanismo che in questi anni ci ha permesso di crescere. Le cose si fanno, nel momento in cui rispettano i nostri principi e un gruppo di persone volenterose se ne prendono cura. Cinque anni fa, nessuno avrebbe scommesso un centesimo sul fatto che in San Frediano ci sarebbe stata una Scuola Calcio gratuita messa su dai nostri volontari. E invece l’abbiamo fatta nello stesso modo con cui abbiamo fatto tutto il resto, e in cui continueremo a farlo.
La società ha rappresentative sia maschili che femminili: materiale uniforme, anche dal punto di vista della vestibilità, o ci sono differenze?
Dipende dal tipo di articolo, inizialmente ad esempio avevamo tute di rappresentanza uguali nello stile ma con vestibilità diversificata uomo-donna. Per le mute invece abbiamo visto che con la giusta taglia il materiale che utilizziamo è tranquillamente unisex. Diciamo così, per quanto possiamo cerchiamo di venire incontro alle esigenze di tutti e tutte, ma rimaniamo un club dilettantistico che deve far fronte a budget limitati.

Qual è la maglia del CSL che ti è rimasta più nel cuore e perché?
La cosa che più mi affascina delle maglie da gioco è la loro capacità di accompagnarti senza essere invadenti. È per questo che spesso se pensiamo al calcio durante la nostra infanzia ci torna in mente la maglia che aveva la nostra squadra del cuore nel momento in cui capivamo che quella sarebbe stata la nostra squadra del cuore (per me la Fiorentina avrà sempre il logo Sammontana e i gigli sulle spalle). Il C.S. Lebowski inizia ora ad avere questa forza, quando i bimbi e le bimbe della scuola calcio vengano a vedere le partite ed iniziano ad affezionarsi.
Personalmente sono molto legato alla maglia della stagione 2012-13, quella della vittoria della Terza Categoria e della Coppa Provinciale. È quella che ha segnato una svolta nel nostro percorso, oltre ad essere stata la prima volta che vincevamo qualcosa. Allo stesso modo l’ultima maglia la sento molto. Oltre ad essere la maglia che abbiamo utilizzato in Promozione riprende molto quella vecchia maglia della Terza; speriamo riesca a emularla.

Progetti per il futuro? Visto anche che nella stagione 2020-21 festeggerete 10 anni… a tal proposito, auguri!
Stavamo immaginando qualcosa di folle, un misto tra un rave e l’addio al calcio di Baresi, con i giocatori che entrano uno ad uno con sottofondo infinito di The Final Countdown.
L’attuale situazione sanitaria ha sconvolto molto, ma non ci ha spezzato. La più grossa sfida sarà affrontare la prossima stagione senza la certezza di poter contare sui momenti aggregativi che sono alla base della quotidianità del Club. Sarà una grande sfida per tutti i soci e le socie, ma siamo sicuri che il nostro modello, il nostro essere, verrà fuori ancora più forte da tutto questo.
