Per apprezzare al meglio le grafiche accostate alle squadre di calcio e per vantarsi con gli amici con termini arcaici fuori dalla portata dei più, dobbiamo partire dalle basi e addentrarsi almeno un po’ nell’araldica. Preoccupati? No dai, ci siamo qua noi.
Domi militiaeque [ in pace e in guerra ]
In principio era la guerra.
Sin dalle epoche più antiche delle quali abbiamo testimonianza i soldati sono scesi in battaglia agghindati quasi a feste, con colori sgargianti atti a distinguersi fra loro o a intimorire il nemico – i persiani vengono raffigurati con vestiti di seta finemente decorati, i Picti (antenati degli scozzesi) si coloravano la pelle di blu, i cavalieri del medioevo vestivano mantelli oltremodo vistosi e nell’Ottocento i francesi vestivano giubbe blu e pantaloni rossi, gli inglesi giubbe rosse e pantaloni bianchi, gli austriaci giubbe bianche e pantaloni azzurri… –. Da sempre i colori racchiudono simbologie e significati, oltre ad avere la funzione di farsi riconoscere dall’amico e dal nemico nel tumulto della battaglia o dal comandante che guida il proprio battaglione dall’alto del suo punto di osservazione.

Anche la moda è sempre stata vivace e ogni colore nascondeva un codice che dislocava l’individuo in una certa classe sociale. Più i colori erano sfarzosi più si percepiva il benessere. I toni del marrone erano riservati alla plebe contadina e artigiana che non poteva permettersi di meglio. Tutto questo è stata la norma fino all’epoca vittoriana inglese, quando alcuni noiosi individui – chiamiamoli influencer – decisero che l’eleganza vestiva di nero o al massimo in scala di grigio. Il colore era diventato volgare o riservato al gentilsesso che doveva mettersi in mostra. Anche in battaglia venne messo da parte a favore di tonalità che si potessero mimetizzare facilmente nel territorio, in modo da non risultare troppo visibili al nemico provvisto di armi sempre più precise sull’ampio raggio.

Per fortuna in quel periodo prende campo in modo dirompente lo sport, prima per i gentlemen annoiati, poi per il resto della popolazione. E cosa è lo sport se non una simulazione ludica della guerra? Alla vecchia maniera, nobile e romantica, ma pur sempre guerra. Era giocata a viso aperto, richiamava l’epoca cavalleresca e quindi necessitava di riconoscibilità e decodificazione. Finalmente torna in scena il colore. Anzi, viene salvato il colore.
Esigenze belliche hanno dunque dato vita a un codice e a un’iconografia che nel tempo è arrivata fino a noi, alle maglie da calcio che tanto amiamo: l’araldica. La sua genesi è pratica e deriva dal bisogno – dopo l’introduzione in battaglia dell’elmo chiuso nel XII secolo – di poter riconoscere i vari schieramenti anche con la nuova visuale ristretta, e non è dettata dalla vanità delle classe nobiliare dell’epoca come si pensa. Quello avviene dopo.
Il sistema, nato per la cavalleria medievale, spopolò in breve tempo e da stretto appannaggio della nobiltà si estese ai ceti inferiori: mercanti, artigiani, corporazioni, etc. L’esteso analfabetismo favorì ulteriormente il diffondersi di questo complesso ma chiaro sistema di segni e simboli che si insinuò talmente a fondo e rapidamente nella società da far credere che fosse sempre esistito. È così radicata nella cultura occidentale che anche oggi la ritroviamo in molti aspetti della nostra comunicazione visiva e verbale senza neanche rendercene conto.
Tornei e giostre
Gli antesignani dei nostri eventi sportivi nel medioevo erano le giostre (competizioni individuali) e i tornei (competizioni a squadre, nome poi tramandato ai posteri). Vi partecipavano i cavalieri – veri idoli dell’epoca – con vessilli e scudi che erano noti agli spettatori già in anticipo, come adesso lo sono le casacche di Barcellona, Milan, etc…

L’usanza di diversificare i colori delle squadre continua anche nei successivi giochi di piazza – dove si vestivano i colori dei quartieri, dei rioni o dello stemma cittadino – e nelle prime partite di calcio – dove si vestivano colori occasionali di livrea, ossia scelti da gentiluomini che finanziavano le divise –. Ma la suddivisione in colori era già in voga nelle fazioni del tifo nel circo dell’antica Roma come per i Prasini (verdi), gli Albati (bianchi), i Russati (rossi) e i Veneti (azzurri); colori che ritornano anche in situazioni diverse e più recenti come il Calcio Storico Fiorentino.
La casacca – in italiano, in inglese jersey o shirt –, dapprima una camicia, poi una maglia di lana o di cotone, adesso in tessuto sintetico, è la nuova livrea dove apporre i propri colori sociali. È la più in vista e la più nobile vestendo la parte superiore del corpo. Ricordiamo che agli albori del gioco i pantaloni e i calzettoni erano spesso abbinati casualmente e potevano differenziarsi anche all’interno della stessa squadra.
Sono le public schools inglesi – dove nasce il moderno football – le prime a seguire l’araldica – molto radicata sul territorio – utilizzando i colori e i simboli dell’istituto sulle casacche e sui cappelli in voga all’epoca.
I colori e la sua legge
I colori usati in araldica sono solo sette e hanno un’origine sia evocativa (il 7 è il numero magico per eccellenza) che funzionale (sono scelti per evitare ambiguità ottiche). Tradizionalmente associati al carattere e alla psicologia, sono anche colori concettuali e non tengono conto di possibili varianti di tono e di sfumature.
Si dividono in due categorie: colori e metalli. I metalli sono l’argento e l’oro che vengono rappresentati rispettivamente con il bianco e con il giallo. Mentre i colori sono nero, verde, rosso, azzurro e porpora (o viola, aggiunto per arrivare a sette).

Il gusto araldico suggerisce di usare due o al massimo tre colori alla volta e segue una regola rigida chiamata “Legge dei colori”: non è permesso accostare o sovrapporre colore a colore e metallo a metallo – unica eccezione lo stemma del Regno di Gerusalemme che ostenta croci oro in campo argento, ma solo perché custode del sepolcro di Cristo; eccezione poi allargata alla Città del Vaticano –. Probabilmente la legge è da attribuirsi alla funzionalità di poter riconoscere facilmente una combinazione di colori anche da lontano grazie al contrasto chiaro (metallo) e scuro (colore).
Nel calcio questa legge è rispettata nel 70% dei casi con le grosse eccezioni del rossonero, rossoblu e nerazzurro. Anche riguardo la quantità di colori utilizzati si adopera il modello araldico con una percentuale irrisoria del 3% che osa vestirsi con più di due colori contemporaneamente – in Italia vengono in mente solo Sampdoria e Venezia, che comunque nascono da una fusione e hanno la necessità di mantenere i colori delle precedenti società –.

Col tempo però la ristretta scelta unita alla vanità fece sì che ai colori dello scudo venissero aggiunti ulteriori colori di livrea – per esempio l’arancione degli Orange – per abbellire o ammodernare tappezzerie, arredamenti o divise. Nel calcio il numero dei colori usato per la stragrande maggioranza delle casacche sale di poco, ma solo perché ai sette colori araldici vengono aggiunte alcune varianti del blu come il celeste e l’azzurro, e del rosso come il granata/amaranto (si, il granata e l’amaranto sono due colori distinti che tendono uno più al marrone e l’altro più al viola, ma stiamo ragionando per gruppi n.d.r.). Poi ci sono le eccezioni, ma essendo eccezioni tali rimangono.
Si noti che molto di rado – oserei dire quasi mai – vengono usati colori dai toni del marrone (ne abbiamo parlato e ne riparleremo) o del grigio, i quali sono esclusi completamente dal sistema araldico. Questi colori erano riconducibili all’abbigliamento povero contadino e quindi rifuggiti dai cavalieri.
Come abbiamo scritto anche da un’altra parte, la scelta dei colori per le casacche – e in questo caso anche per gli scudi – il più delle volte è casuale o dettata dal gusto personale. Il dato interessante è che le statistiche sui colori più usati negli stemmi medievali e nelle maglie da calcio si somigliano con il rosso a farla da padrona – sicuramente per il suo riferimento al sangue e alla passione – seguito dal bianco, dal giallo e dall’azzurro. Nelle maglie da calcio in verità il bianco si sostituisce al rosso, forse perché ottimo come abbinamento per far risaltare qualsiasi colore lo accompagni. Marginali il verde e il viola (oltre ai non araldici per quanto riguarda le maglie da calcio), entrambi probabilmente per via delle difficoltà tecniche di riproduzione e stabilizzazione del colore in epoca medievale (i dati sono variabili fra loro da paese e paese e sono stati ripresi dal libro Tutti i colori del calcio. Storia e araldica di una magnifica ossessione, ed. Le Lettere, 2008 n.d.r.).
Grafica araldica
La sintassi – ovvero la combinazione di colori – usata in araldica sugli scudi non si discosta molto da quella usata sulle maglie da calcio. Raramente è disordinata (se si escludono alcuni ultimi accrocchi nati però con l’obbiettivo di incrementare le vendite al di fuori dell’Europa dove il gusto araldico non può essere presente) ed è racchiusa in semplici ed elementari forme geometriche. Esiste anche un’araldica composta da figure iconiche come leoni, draghi o aquile – usate magari per gli stemmi societari –, ma è la forma astratta quella che ci interessa, perché legata alla grafica delle casacche moderne.
Queste figure geometriche sono chiamate partizioni e pezze (partizione: divisione regolare in più zone geometriche di un campo; pezza: elemento grafico avente forma geometrica) che sono semplici campi colorati studiati per essere ben visibili anche da lontano, come nel caso delle bandiere e dei gonfaloni. Ma l’araldica è fluida e si adatta a ogni supporto. Ad esempio i cavalieri indossavano spesso sopra la cotta d’armi una veste in tessuto riportante i colori araldici, vera e propria antenata della football jersey. L’araldica dispone di molte più figure grafiche, come la bordura, il tagliato o il fusato, ma qui riportiamo quelle che fondamentalmente sono state scelte dalla quasi totalità delle squadre di calcio.
Inversione moderna
I colori e i simboli delle città e delle squadre sono spesso collegati ma non sempre, come raccontavamo di là. Il fatto interessante è che spesso l’araldica del calcio tende a imporsi come immagine identitaria a discapito o in parallelo a quella municipale, come l’esempio del viola a Firenze, diventando una nuova livrea e andando a chiudere un cerchio iniziato secoli fa.
I colori delle squadre sono diventati principi di classificazione delle appartenenze e hanno delineato nuove mappe regionali, nazionali e internazionali.
2 replies on “L’araldica nel calcio, ovvero l’origine delle divise da gioco”
PAOLO
Wolverhampton e/o Dunde UTD, Manchester C., Genoa, Borussia D., Ajax, Milan, Boca J., Celtic G., Monaco, Clydebank, Vasco de Gama, Brescia, Parma, Blackburn R., Croazia….. ma l’ultima la tiro a indovinare: una qualche versione speciale del Monaco?
Matteo "Rico" Bertelli
Fuoco.
Anche se mancando l’ultima non avresti vinto comunque.
Grazie per aver dato il via a questo giochino!