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L’origine dei colori del calcio italiano


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La maglia, e nello specifico i colori della maglia, rappresentano una squadra, la sua storia e, nel caso del territorio italiano, anche una città. È il suo marchio di fabbrica, la prima cosa che si nota e quella che rimane più impressa. È il segno riconoscibile, quello che accomuna la comunità, anche quando dispersa nel territorio. Col tempo è diventata tradizione, oramai centenaria, per quasi tutte le società professionistiche e non.

Ultimamente invece si sta prendendo una deriva sbagliata, si porta avanti l’idea che il pubblico si annoi velocemente e si stravolge solo per attirare attenzione e vendere qualcosa di diverso. Ma alla fine, come ci ha detto qualcuno che nel calcio è stato protagonista:

Adesso alcune volte accendiamo la televisione e non sappiamo che squadre stiamo guardando.

Tornando alle origini bisogna partire da un fatto che non sempre è preso in considerazione: agli albori del giuoco i fondatori delle società calcistiche erano amatori e in fin dei conti ragazzi che, come noi, volevano divertirsi il sabato pomeriggio fra amici e, sempre come noi, a un certo punto hanno avuto la necessità di scegliersi delle divise.

Fino all’avvento del regime fascista, dove ci fu una riorganizzazione dei campionati e delle società su scala nazionale – ci torneremo dopo –, la scelta dei colori con i quali identificare le neonate squadre era semplicemente casuale e dettata dalle situazioni specifiche. Se vogliamo restringere ai motivi principali diciamo: emulazione, opportunità, opposizione cromatica nei confronti dei rivali e mero gusto personale.

La cosa che però accomuna tutti è la scelta di utilizzare i sette colori su cui si basa l’araldica più pochissime altre eccezioni: nero, rosso, azzurro (con le variazioni di blu e celeste), verde e viola (porpora) più i metalli bianco (che rappresenta l’argento) e giallo (oro). Le eccezioni usate in pochissimi casi sono l’arancio, il rosa e il grigio.

Emulazione

Il Genoa è il club calcistico più antico fondato in Italia e risalente al 1893 grazie un medico inglese di nome James Spensley innamorato del calcio e delle coste liguri. I primi anni la squadra di football utilizzò le casacche piene bianche dei colleghi del cricket, per poi passare a una replica di quelle dello Sheffield Wednesday – che andava per la maggiore in Inghilterra ed era seguito da alcuni soci del club – palate bianco-blu. Nel 1902 passò definitivamente alla iconica maglia partita rosso-blu, anche questa presa in prestito dal celebre college di Eton, il più famoso e prestigioso del Regno Unito dove si sono registrati anche alcuni fra i primi calci a un pallone.

Opportunità

Il caso più noto è quello della Juventus, squadra costituita da liceali di Torino che iniziarono la loro carriera vestiti di rosa con cravattino nero. Rosa che arriva da uno stock invenduto di stoffe presente in un negozio di un parente di uno dei ragazzi che offrì a prezzo di favore e cucito a mano dalle madri degli atleti stessi. Ebbene si, la Juventus era povera all’epoca.
Tre anni dopo però, le casacce erano diventate lise e non più presentabili in campo. A quel punto un generoso sostenitore nativo di Nottingham regalò alla squadra un consistente lotto di mute del Notts Country, il club più antico della città, che vestiva bianco-nero palato. Dopo il dissenso iniziale dato dal contrasto ritenuto troppo brusco, giocatori e tifosi si affezionarono ai nuovi colori anche grazie alle vittorie che portarono. Il resto della storia la conoscete.

Gusto personale

I colori delle maglie del Milan, rosso-nere palate, derivano da una scelta ben precisa del club fondato dall’altro grande maestro del calcio pioneristico italico, tale Herbert Kilpin. Il rosso era considerato il colore ideale alla sfida contro il pregiudizio e richiamava le fiamme dell’inferno che avrebbero dovuto intimorire gli avversari. Kiplin stesso dichiara:

Le maglie devono essere rosse perché noi siamo dei diavoli. Mettiamoci anche un poco di nero per fare paura a tutti.

D’altronde all’epoca era presente sul territorio una grossa fetta di borghesia anticlericale votata al progresso e al capitalismo, di cui faceva parte anche la dirigenza anticonformista dei diavoli.

Opposizione cromatica

In opposizione ai cugini del Milan, poco dopo nasce l’Internazionale, la quale sceglie l’azzurro come “controcolore” del rosso – grazie all’idea di un co-fondatore che era anche pittore – lasciando invariato invece il nero che ne completa la divisa palata.
Stessa cosa fece il Pisa – che originariamente vestiva di amaranto – all’indomani della scelta della Lucchese di adottare i colori del Milan, sostituendo per ritorsione la casacca con quella dei rivali dell’Inter. Alimentando così la questione della rivalità fra le due città.

La scelta visionaria del Palermo

Il Palermo sceglie in origine, come il Genoa e il Bologna, la divisa partita rosso-blu di etoniana memoria – alla fine sono stati i britannici a importare il calcio dalle nostre parti e molti spunti derivano da quel mondo –, ma nel 1907 il colpo di genio. Interviene un facoltoso imprenditore di un rinomato marsala e di altre bevande alcoliche che, probabilmente, convince il presidente a cambiare i colori sociali intuendo il grande veicolo pubblicitario che può portare il calcio passando al rosa-nero. Rosa a rimando del dolce liquore offerto in caso di vittoria e nero come l’amarissimo digestivo da assumere in caso di sconfitta.
Un po’ come successo con Babbo Natale. 

Il fascismo e la riforma dei campionati

In epoca fascista furono prese delle decisioni atte ad accorpare le numerose squadre presenti nella stessa città in moda da innalzare il livello del campionato (?) e rafforzare il sentimento campanilista e patriottico. Sorte imposta un po’ a tutte le squadre del paese. Alcune eccezioni:

Torino, la cui fusione con la Juventus era incompatibile;
Roma, dove la Lazio si rifiutò categoricamente di unirsi ai cugini giallo-rossi;
Milano, dove Internazionale e Milanese divennero prima Ambrosiana e poi di nuovo Internazionale ma col netto veto del Milan a partecipare;
Genova, che non accettò la fusione con la neonata Dominante – a sua volta fusione di Andrea Doria e Sampierdanese –, squadra di punta del regime e completamente vestita di nero, poi retrocessa, rinominata Liguria, scissa di nuovo in Andrea Doria e Sampierdanese e ricongiunta finalmente in Sampdoria.

In molti casi le nuove squadre adottarono i colori dallo stemma cittadino, ad esempio il Modena (giallo-blu), il Perugia (rosso), la Ternana (scudo rosso con brisura verde), la Triestina (rosso con alabarda bianca) o il Livorno (che prende il colore dal gonfalone amaranto).

Resistono però le eccezioni come il Napoli, che mantiene i colori del Naples, squadra fondata all’interno di un circolo nautico e che ha preso spunto nella scelta del colore sociale dall’azzurro del cielo e del mare del Golfo.
Oppure l’Atalanta Bergamasca che, fusione fra la palata bianco-azzurra Bergamasca e la palata bianco-nera Atalanta, decide di eliminare il bianco comune e mantenere il resto.

Infine la Fiorentina, che approfondiremo a parte in un post dedicato. Prima partita bianco-rossa in seguito alla fusione di Libertas e C.S. Firenze, poi viola su decisione insindacabile del marchese Ridolfi dopo un reset societario dovuto alle classiche divisioni interne stile Guelfi vs. Ghibellini, molto rappresentative del territorio.

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