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Abbiamo avuto l’onore di parlare con Kurt Hamrin – insieme ad Antognoni e Batistuta una delle colonne della storia della Fiorentina – che ci ha raccontato un calcio lontano dal business attuale, un calcio più genuino e semplice. Quello che la maglia si lavava e doveva bastare per tutta la stagione. Quello che si vestiva la muta di lana in inverno e la muta in cotone a primavera.

Nel 1958 il presidente Befani lo acquista dalla Juventus. Gioca ala destra, col numero 7 e in estate ha giocato la finale del Campionato del Mondo con la nazionale svedese. Verrà soprannominato l’uccellino per il suo fisico esile e il suo modo leggiadro di giocare. Questo ragazzo scriverà la storia dei colori viola e tutt’ora detiene il record di gol segnati con la Fiorentina, ben 208 in 362 partite ufficiali (151 in 289 presenze in Serie A, secondo solo a Batistuta che lo superò nella sua ultima partita al Franchi) e il record di gol segnati in trasferta in una sola partita, 5 (Atalanta vs Fiorentina 1-7 del 2 febbraio 1964, giocando più della metà della partita da infortunato senza alcun compito difensivo). Con lui in campo 2 Coppe Italia, 1 Coppa delle Coppe, 4 secondi posti consecutivi e il record assoluto per la Serie A a 18 squadre di 95 reti segnate nel 1958. Gli manca solo lo scudetto, sfiorato nel 1959 per colpa di una sciagurata sconfitta in casa con la SPAL.

Non erano tempi di scialo

All’epoca i giocatori non avevano a disposizione tre maglie a partita da poter regalare o scambiare – Hamrin rimane sorpreso quando gli comunichiamo questo dato – e la muta doveva durare un’intera stagione, veniva lavata dal magazziniere e riproposta nella partita successiva fino a quando non sbiadiva troppo per essere mandata in campo.

Ovviamente stiamo sempre parlando di calciatori professionisti di Serie A e, anche se diligentemente a fine partita i giocatori riponevano nelle proprie borse divise e scarpini, il magazziniere – e il suo aiutante Sghibbe, che Kurt ricorda con enorme affetto citando l’aneddoto scaramantico del tocco della gobba appena usciti dallo spogliatoio prima di entrare in campo – faceva trovare tutto pulito e piegato nell’armadietto personale in casa o nella borsa quando andavano in trasferta.

Se mancava una maglia, il responsabile era costretto a ricomprare l’intera muta a sue spese. Era facile capire chi era il colpevole, perché ogni giocatore aveva la sua borsa dove riponeva la propria, che a fine gara veniva riconsegnata al magazziniere. Non c’era neanche lo scambio con gli avversari perché nessuno voleva pagare per 11 nuovi completi.

Solo qualche volta, magari in condizioni meteo spiacevoli ed esclusivamente al Comunale dove era presente il magazzino, la maglia poteva e veniva cambiata durante l’intervallo. Mentre in trasferta ovviamente no, perché veniva portata solo una muta. Da qui il termine maglia di cortesia, quando la squadra di casa cambiava la maglia che si sarebbe potuta confondere con quella degli avversari. Come nella finale di ritorno della Coppa delle Coppe giocata a Firenze, dove la Fiorentina indossa la meravigliosa maglia bianca con massiccio scollo a V viola contro i Rangers di Glasgow che vestivano palato bianco-blu, in modo anche da agevolare le riprese televisive.

In quel periodo le maglie di riserva, solitamente bianche, erano usate di rado, perché il viola non aveva molti colori con il quale poteva essere confuso, neanche con il nerazzurro dell’Inter, il rossonero del Milan o il blucerchiato della Sampdoria. In più c’era la scaramanzia di fondo nel cercare di giocare sempre in maglia viola.

Prima non era come adesso. Adesso alcune volte accendiamo la televisione e non sappiamo che squadre stiamo guardando.

Hamrin non condivide la teoria che ho sentito da più parti sul fatto che il pantaloncino nero si usava in inverno per nascondere meglio le macchie di fango, mentre quello bianco in estate. A suo avviso la scelta del pantaloncino cambiava in base al colore degli avversari, soprattutto quando in ballo c’erano le riprese televisive, che essendo all’epoca in bianco e nero, dovevano permettere allo spettatore di riconoscere a colpo d’occhio le squadre che avevano maglie di colore simile. Ma ammette anche candidamente che lui in campo pensava a fare gol, e non badava a certe cose.

L’unica cosa che noi si protestava un pochino era che queste maglie (quelle invernali n.d.r.) erano di lana e pizzicavano. Mentre preferivamo di gran lunga le maglie estive in cotone.

Gli ultimi aneddoti

Un altro aneddoto molto carino riguarda gli scarpini. Normalmente erano forniti e pagati dalla Fiorentina, fatti a mano in una bottega in Viale dei Mille, di colore nero o marrone scuro. Già all’epoca però qualche calciatore era sponsorizzato da marchi famosi, ma al contrario di oggi veniva preso in giro bonariamente dai compagni.

Noi altri ridevamo perché erano di un colore diverso da quelle “normali”, per essere più visibili e riconoscibili.

Quando infine gli abbiamo chiesto del perché del calzino abbassato, ci ha risposto semplicemente che quando era giovane spesso gli stringeva il polpaccio, provocandogli crampi.

La maglia del cuore

Nonostante abbia un rapporto speciale con Firenze, essendoci rimasto a vivere una volta ritiratosi, nonostante col Milan abbia vinto di tutto e di più, molto romanticamente, alla nostra domanda sulla maglia che gli è rimasta nel cuore, ha risposto quella della sua prima squadra professionista, la bellissima e caratteristica maglia nera dell’AIK Stoccolma, confidandoci che era sempre in cotone…

Con la nazionale invece se mancava una maglia facevano finta di niente. Anche se non si cambiavano molto le maglie della Svezia.

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