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C’era una volta Bukta: gloria e decadenza di un pezzo di storia del pallone


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In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque…va bene che quella di Bukta è una storia antica, ma non fino a questo punto. L’avventura inizia nel lontano 1879, quando Edward Buck fonda a Stockport la “Edward Buck & Sons”. Parlare di “avventura” è quanto mai calzante: l’azienda appena avviata si dedica alla produzione di capi d’abbigliamento destinati principalmente all’esercitò di Sua Maestà e… ai Boy Scout.

L’attività ferve e spazia presto in altri ambiti, toccando anche il calcio, tanto che una foto del 1884 ritrarrebbe il Nottingham Forest vestito con le divise “made in Cheshire”. Ai “Garibaldi reds” fanno compagnia una moltitudine di squadre: nell’epoca precedente alla comparsa dei primi marchi sulle divise, quando ancora non c’è traccia “visibile” del produttore, la Bukta veste comunque svariati club britannici (troppi per darne conto analiticamente, pensatene uno a caso e… sì, probabilmente avrà vestito Bukta almeno una volta), arrivando però anche a varcare la Manica legandosi ad Ajax e Feyenoord, oltre a spingersi al di là dell’Atlantico sbarcando nella NASL.

Gli anni ’70 rappresentano, se così vogliamo dire, “l’età dell’oro” del brand britannico. Se in Inghilterra l’apice è rappresentato dal traguardo (tutto sommato relativamente modesto) della finale di FA Cup vinta nel 1975, con il West Ham griffato Bukta che si impone 2-0 sul Fulham, a livello continentale la ribalta si chiama Coppa Campioni e ad alzarla al cielo è l’Ajax imbattibile di Cruijff.

Intorno alla metà degli anni ’70, come testimoniano anche le foto del West Ham che trovate di seguito, compare sulle maglie per la prima volta il caratteristico logo del cervo stilizzato. Un marchio inconfondibile, destinato però ad essere rimpiazzato nelle decadi successive da alternative non certo memorabili.

Restiamo negli anni ’70 con una curiosità: nel biennio 1977/79 è l’Hibernian di Edimburgo vestito Bukta la prima squadra a indossare una divisa in cui lo sponsor tecnico compare nello spazio e nelle proporzioni che oggi definiremmo dello sponsor “commerciale”. Le reti televisive dell’epoca reagiscono all’iniziativa rifiutandosi di trasmettere le gare degli Hibs. Il Club biancoverde è costretto a tornare, almeno in parte, sui propri passi: nasce così una versione “alternativa” del kit (privata del “Bukta” a centro petto) da utilizzare nelle gare riprese dalle TV. Una maglia memorabile a prescindere, anche perché indossata da George Best in una delle sue ultime stagioni prima del ritiro.

Del brand inglese si perdono poi le tracce fino ad un ultimo colpo di coda, fra fine anni ’80 e primi anni ’90, quando buoni lavori si alternano a mezzi passi falsi. Volendo essere benevoli potremmo dire che i kit dell’epoca sono “figli del loro tempo”, spesso e volentieri inutilmente barocchi nella composizione grafica e negli accostamenti cromatici.

Ma la costante per Bukta nel periodo è purtroppo un’altra: l’incapacità di legarsi ad un Club di prima fascia in grado di garantire quel ritorno di immagine del quale l’ultracentenaria azienda britannica aveva disperatamente bisogno per riemergere dall’anonimato. La conseguenza è stata l’oblio, se si esclude un dispendioso tentativo di “recupero” come brand streetwear negli anni scorsi.

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