Non so quale reazione abbiate avuto alla notizia che Adidas sta liberandosi di Reebok, ma la mia è stata più o meno questa: “Reebok?! Ah già… Reebok!”. Il tutto condito da quel misto di sorpresa, vaga nostalgia e una certa dose di amarezza che rientra nel cosiddetto “Effetto Pamela (Anderson, ndr)”.
Si tratta di un fenomeno emotivo innescato in genere da una news (non proprio positiva) riferita a persona, oggetto o evento particolarmente apprezzati in passato. Cose e persone che vi sono piaciute o vi hanno fatto divertire ma che, per un motivo o per un altro, avete poi completamente rimosso dalla vostra mente finchè non sono riemerse improvvisamente dall’oblio ormai irrimediabilmente cadute in disgrazia. L’effetto prende il nome dalla bagnina più famosa degli anni ’90, sostazialmente sparita dai radar dopo il 2005, ridotta ormai a fare notizia solo in funzione dell’ennesimo divorzio o dell’ultima sventura finanziaria.
L’Effetto Pamela trova applicazione in svariate situazioni della vita quotidiana: flirt delle superiori devastate da matrimoni infelici, gruppi indie riciclatisi come band neomelodiche e, appunto, marchi sportivi che passano dal vestire il Liverpool di McManaman a produrre linee griffate da Victoria Beckam.

L’accostamento con Reebok è ancor più calzante visto che i “momenti di gloria” di Santa Pamela del Costumeinterosgambatissmo da Malibu e del marchio di BoLton/BoSton hanno sostanzialmente coinciso, ma su questo approfondiremo a parte.

La questione di fondo è una sola: come è stato possibile che un marchio presente ai massimi livelli calcistici nei cinque continenti, nonchè sponsor personale di giocatori di primissima fascia, sia completamente sparito di scena? Fra l’altro prendendo commiato dal mondo del calcio con creazioni non esattamente memorabili.
L’acquisizione da parte di Adidas
Anche se oggi si fa fatica a crederlo, dovete sapere che c’è stato un tempo in cui Reebok rappresentava il terzo più importante produttore di articoli sportivi al mondo, preceduto solo da Nike e Adidas.
Tanto per capire cosa significava Reebok prima della catastrofe.
Nel 2006 Herbert Hainer, allora CEO del marchio tedesco, si convince che per competere con Nike sul mercato americano e affermarsi in quello asiatico l’unica strada sia quella di acquisire Reebok. Investe dunque oltre 3 miliardi di Euro nell’operazione, ovviamente senza immaginare che avrebbe rappresentato il più grosso fiasco della sua gestione.

Un ultimo tentativo ma…
Nel 2016 Hainer viene rimpiazzato da Kasper Rorsted, non esattamente un personaggio che fa della pazienza la propria virtù principale (almeno secondo la stampa finanziaria teutonica). Ciononostante il nuovo deus-ex-machina del colosso a tre strisce avvia un ultimo disperato tentativo di far risorgere Reebok dalle proprie ceneri. O almeno da quel che rimane: un marchio confinato al crossfit e all’abbigliamento casual/sportivo, lontano da almeno un lustro dai riflettori dello sport che conta e con un’immagine nemmeno troppo ben definita (considerati i 4/5 loghi diversi che si sono succeduti dall’acquisizione da parte di Adidas ai giorni nostri).
Mica Ciccino d’Avane o Mario Draghi.
Inutile aggiungere che alla fine il CEO di Adidas ha dovuto alzare bandiera bianca e mettere in (s)vendita Reebok a poco più di 2 miliardi di Euro (prezzo d’occasione, frugatevi…). A prescindere dall’identità dei possibili acquirenti (si parla dei gruppi proprietari di Timberland/Vans da una parte e Fila dall’altra) quel che sembra si possa escludere è il rientro del marchio nel mondo del calcio. Almeno nel breve termine.
Sono infatti completamente destituite di fondamento le indiscrezioni dei mesi scorsi in merito a una (presunta) imminente chiusura di un accordo fra Reebok e Roma. Un’operazione che non avrebbe avuto obiettivamente capo nè coda, per mille motivi che non vi andiamo ad elencare, tanto che lascia stupiti il fatto stesso che abbia trovato spazio su qualche testata.
We must whait and see
In attesa dei futuri sviluppi vi racconteremo l’ultracentenaria storia del marchio nato a Bolton, un po’ come abbiamo già fatto a suo tempo parlandovi di Bukta e Admiral. Riscopriremo insieme le perle di stile ed i pezzi da “hall of shame” che hanno caratterizzato la produzione calcistica di Reebok. Intanto un piccolo estratto per rinfrescarvi la memoria.